Pechino dice di aver sconfitto la povertà in Cina, ma ombre emergono dalle zone rurali

povertà in Cina

Con un comunicato dai toni apertamente trionfalistici, in questi giorni Xi Jinping ha dichiarato di avere ufficialmente eliminato la povertà in Cina un mese prima della scadenza autoimpostasi, dopo che le ultime nove contee rurali impoverite, nella provincia sud-occidentale del Guizhou, sono state rimosse dalla lista della povertà.

La soglia di povertà del paese nel Paese si attesta – secondo quanto stabilito dal Partito Comunista al potere – sui 2.300 yuan all’anno, secondo prezzi del 2010, o poco meno di un dollaro al giorno.

Dove sono le maggiori sacche di povertà in Cina?

Al di là però dell’estinzione eventuale della “povertà assoluta”, è fuor di dubbio che continui ad esistere una grande parte della Cina, in particolare quella interna e rurale, dove gli agricoltori campano con meno di 700 euro all’anno, e non possono permettersi di mandare a studiare i loro figli.

La maggior parte delle aziende agricole cinesi sono imprese familiari, piccole e prive di economie di scala, con forti limiti sulle loro possibilità di poter realizzare utili significativi. Inoltre, gli agricoltori non possiedono la loro terra (tutta la terra, in Cina, è proprietà dello Stato: gli agricoltori, come chiunque – costruttori, industriali etc. – possono solo prenderla in affitto dal Governo con contratti di varia lunghezza), ma affrontano costi crescenti – dai fertilizzanti, all’elettricità, alla manodopera – per coltivarla e in più vengono gravemente colpiti dalla caduta dei prezzi del grano.

Per questi motivi la produttività media delle aziende agricole cinesi è molto bassa: rispetto alle economie agricole avanzate per esempio nei Paesi Bassi e negli Stati Uniti, dove la produzione di una fattoria alimenta in media 256 persone e 146 persone, rispettivamente, una fattoria cinese nutre solo sette persone

Cosa pensano gli economisti della apparente sconfitta della povertà in Cina?

Molti accademici ed economisti da tempo ormai mettono apertamente sotto accusa la politica fondiaria cinese, che risale ai primi anni del dominio del Partito Comunista, negli anni ’50, quale principale causa dei problemi rurali.

Dopo aver ridistribuito la terra da agricoltori ricchi a poveri, il partito passò rapidamente alla nazionalizzazione dei terreni agricoli, che da allora sono rimasti di proprietà del governo.

La Cina ha solo il 6% delle risorse idriche mondiali e il 9% delle sue terre coltivabili, ma deve alimentare il 21% della popolazione mondiale, secondo l’agenzia di stampa governativa Xinhua.

E la posta in gioco è aumentata drasticamente nel corso della lunga guerra commerciale con gli Stati Uniti. Pechino, infatti, ha tagliato le importazioni agricole dall’America – compresi i semi di soia per l’alimentazione animale – aumentando così la pressione sulla sua industria agricola nazionale per far fronte alla carenza di prodotto, mentre nello stesso tempo contava sui consumatori rurali per aumentarne il consumo e il commercio interni.

Ma la crisi che continua ad attraversare le sterminate campagne cinesi – malgrado gli ultimi proclami governativi – e la ridotta, se non ridottissima, capacità d’acquisto e disponibilità di liquidità degli agricoltori, ha fatto fallire questa strategia. Inoltre, i dazi doganali di Pechino sulle merci agricole americane hanno reso più costoso per gli importatori cinesi acquistare i prodotti di importazione.

Condividi su

Share on facebook
Share on linkedin
Share on whatsapp
Share on telegram

Una risposta

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Rimani aggiornato sui contenuti

Iscriviti alla nostra Newsletter

Altri articoli