Le controversie del caso Disney

caso disney

In alcuni Paesi come il Regno Unito, Disney + ha posto delle restrizioni sulla visione di alcuni grandi  classici: se ne parla da diversi mesi ma c’è ancora confusione riguardo la questione. 

 

Si tratta di divieto? 

No. Accusati di offrire rappresentazioni culturali ormai superate e di veicolare stereotipi razzisti, i film  d’animazione non sono più disponibili per gli account dedicati ai bambini ma rimangono a disposizione  nel catalogo streaming in caso i genitori decidessero di vederli insieme ai propri figli. I film vengono inoltre accompagnati da un apposito disclaimer: “Questo programma include rappresentazioni  negative e/o denigra popolazioni o culture. Questi stereotipi erano sbagliati allora e lo sono ancora.  Piuttosto che rimuovere questo contenuto vogliamo riconoscerne l’impatto dannoso, imparare da  esso e stimolare il dibattito per creare insieme un futuro più inclusivo”. 

 

Quali sono i film d’animazione criticati e perché? 

 

Dumbo (1941) 

Verso la fine del film compaiono i corvi (doppiati dal Quartetto Cetra nella versione italiana) che si  esibiscono in un numero musicale: l’esibizione renderebbe omaggio agli spettacoli di menestrelli  razzisti durante i quali artisti bianchi si coloravano le facce di nero e indossavano abiti laceri per imitare e ridicolizzare gli afroamericani schiavi nelle piantagioni del Sud America.

 

 

Nello specifico, la canzone mancherebbe di rispetto alla memoria degli schiavi presentando il verso  “E quando poi veniamo pagati buttiamo via tutti i nostri soldi”; inoltre il leader del gruppo si chiama  Jim Crow, nome delle leggi emanate negli Stati Uniti tra il 1877 e il 1964 che favorirono

la segregazione razziale in tutti i servizi pubblici, istituendo lo status di “separati ma uguali” per i neri  americani e per gli appartenenti ad altri gruppi non bianchi. 

 

Le Avventure di Peter Pan (1953) 

Il film offrirebbe una visione stereotipata dei popoli nativi che non riflette né la diversità tra i popoli  stessi né le loro autentiche tradizioni culturali. Non solo vengono definiti pellerossa (termine  discriminatorio) ma parlano una lingua incomprensibile e vengono imitati da Peter e i bimbi sperduti  che ballano indossando copricapi e altri elementi esagerati: la scena costituirebbe quindi una forma  di derisione e appropriazione della cultura e delle immagini dei nativi. 

 

 

Una critica simile viene rivolta anche alla scena de Il Libro della Giungla (1967) in cui Re Luigi è  rappresentato come un orango pigro e con scarse capacità linguistiche. 

 

Gli Aristogatti (1970) 

In questo caso, il gatto siamese che suona nella jazz band dei gatti di strada offrirebbe una visione  discriminatoria dei popoli asiatici poiché disegnato con dei lineamenti caricaturali come gli occhi a  mandorla e i denti sporgenti e con degli elementi culturali stereotipati e insensati, ad esempio l’utilizzo  delle bacchette per suonare il pianoforte. Inoltre, canta un inglese poco corretto. Questa immagine  rafforzerebbe lo stereotipo dello straniero perenne”. 

Precedentemente, anche Si e Am, i due gatti siamesi presenti in Lilli e il Vagabondo (1955)  sarebbero stati raffigurati con stereotipi anti-asiatici. 

 

La risposta del colosso Disney 

Come anticipato, la piattaforma streaming non ha eliminato dalle collezioni suggerite i film incriminati  ma ne ha sconsigliato la visione ad un pubblico di età inferiore ai 7 anni, se non in presenza di un  adulto. Nel disclaimer che introduce la visione, Disney + rinvia inoltre all’apposita pagina web Stories Matter che spiega nel dettaglio i principi che guidano le scelte della storica multinazionale. 

 

«Le storie modellano il modo in cui vediamo noi stessi e tutti quelli che ci circondano. Quindi, come  narratori, abbiamo il potere e la responsabilità non solo di elevare e ispirare, ma anche di difendere  consapevolmente, intenzionalmente e incessantemente lo spettro di voci e prospettive nel nostro  mondo». 

E ancora: 

 

«Come parte del nostro impegno costante per la diversità e l’inclusione, stiamo esaminando la  nostra biblioteca e aggiungendo consigli ai contenuti che includono rappresentazioni negative o  maltrattamenti di persone o culture. Piuttosto che rimuovere questo contenuto, vediamo  un’opportunità per stimolare la conversazione […]. A tal fine, abbiamo riunito un gruppo di esperti  esterni alla nostra azienda per consigliarci mentre valutiamo i nostri contenuti e assicuriamo che  rappresentino accuratamente il nostro pubblico globale» 

 

Questioni aperte: il politically correct e la funzione dell’arte 

Inevitabile la presenza di chi pensa che si stia assistendo ad una progressiva estremizzazione del  politically correct: il revisionismo storico in corso non riguarda infatti solamente Disney ma anche altri  colossi dello streaming. L’azienda HBO nel giugno 2020 rimosse temporaneamente Via col Vento (1939), accusato di promuovere idee legate al suprematismo bianco; tuttavia proprio grazie a questo  film, l’attrice Hattie McDaniel vinse l’Oscar come miglior attrice non protagonista nel ruolo di Mami,  diventando la prima donna afroamericana della storia a vincere un Premio Oscar. Nel caso Disney si  crea ancora più scalpore perché difficilmente si comprende come un bambino possa essere  influenzato negativamente dalle presunte immagini discriminatorie. Ammettendo comunque che in  età prescolare sia effettivamente possibile riconoscere tematiche di questa portata, è utile ricordare che l’arte non dovrebbe servire il pensiero dominante ma, al contrario, ha la funzione di elevare  l’uomo: tramite la creazione artistica abbiamo la possibilità di elevarci e di liberarci dai luoghi comuni,  anche in modo provocatorio e controcorrente. Se anche l’arte figurativa, la letteratura, il cinema, o  qualsiasi altra forma culturale viene sottomessa al politicamente corretto, già noto e conosciuto,  perderebbe la sua ragione di esistere.

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